AGRITURISMO

Al Castello di cozzo


 

Tratto da IL CASTELLO GALLARATI SCOTTI DI COZZO LOMELLINA E IL SUO TERRITORIO di Roberto Paleari

Foto di Franco Papetti

Gli studi sugli insediamenti agricoli della pianura lombarda hanno più volte evidenziato come, insieme alla tipologia del cascinale, vi sia spesso anche quella del castello legata ai grandi feudi dei Conti Palatini di Lomello, dei Beccaria sull’Oltrepò e della Signoria dei Visconti che dominarono il Pavese dal 1315 e realizzarono prestigiosi castelli a Pavia, Voghera, Sartirana, Bereguardo. Nel 1463 la corte sforzesca iniziò a considerare la Lomellina come un vero e proprio laboratorio agricolo sperimentale, andando a insediarvi diverse opere tra cui la famosa Sforzesca, casale agricolo di impronta leonardesca fatto realizzare da Ludovico il Moro che «rese fertile questa arida pianura perennemente assetata», grazie alla realizzazione di alcune opere idrauliche tra cui la Roggia Mora e il Naviglio Sforzesco.

La trama delle acque che percorrono il territorio, le coltivazioni intervallate da strade sterrate con ai lati lunghi filari di pioppi che sembrano specchiarsi nell’acqua delle risaie disegnano il paesaggio della Lomellina caratterizzato da un reticolo geometrico di linee e superfici di equilibrata armonia e dall’alternarsi delle colture. A questo tipo di ambiente appartiene il Castello Gallarati Scotti di Cozzo, parte di un ampio sistema storico-territoriale, posto all’incrocio di importanti rotte territoriali per Pavia, Torino e Vercelli, già presente nella famosa tabula Peutingeriana, summa delle conoscenze geografiche dell’Impero romano che illustrava il cursus publicus, ovvero la rete viaria sulla quale si svolgeva il traffico dell’Impero, segnandovi le posizioni dei principali insediamenti, dei corsi d’acqua, terreni, foreste e catene montuose.

Nel 1465 il castello, allora appartenente alla famiglia del Novarese Tommaso Caccia, fu acquistato, su concessione diretta del duca Francesco Sforza, dal nobile consigliere di corte Pietro Gallarati che ottenne contestualmente i diritti feudali e le giurisdizioni connesse al maniero e alle terre circostanti. La sua posizione, ai confini tra il Ducato di Milano e le terre del duca di Savoia e del marchese di Monferrato, lo rendeva strategico dal punto di vista difensivo, mentre la collocazione nel fertile paesaggio della Lomellina ne indirizzava l’utilizzo anche in senso agricolo. Non a caso nel 1473 il duca Gian Galeazzo Maria Sforza concesse a Pietro Gallarati il diritto di «cavare» l’acqua dal fiume Sesia per l’irrigazione delle terre, da allora proficuamente destinate alla coltivazione del riso grazie a sistematici interventi idraulici di bonifica e di irrigazione. Da luogo con funzione militare-difensiva, il castello prese sempre più la connotazione di dimora di campagna al centro di un ampio sistema coltivo, nonché di «confortevole luogo di riposo dopo le cacce al cervo nei vicini boschi lungo il Sesia».

Il castello fu teatro di importanti vicende legate alla storia politica della regione. Nel 1499 il re di Francia Luigi XII, sceso in Italia per conquistare il Ducato di Milano, si incontrò a Cozzo con Pietro Gallarati: un evidente riconoscimento del suo importante ruolo politico nel difficile momento di passaggio dal Ducato al nuovo sovrano. L’evento fu subito celebrato in un pregevole affresco monocromo conservato nel castello, che da allora è parte inscindibile della sua identità storico-artistica.

Nella prima metà del XVIII secolo la proprietà passò per asse ereditario a Gianbattista Scotti, il quale unì il suo casato a quello dei Gallarati, stabilendo la linea dinastica che ancor oggi è proprietaria del sito. Le diverse vicende che si sono susseguite nel corso del tempo hanno fatalmente determinato una serie di trasformazioni che tuttavia non hanno gravemente intaccato la fisionomia originaria, grazie anche agli interventi di risanamento e restauro fatti effettuare all’inizio degli anni Sessanta del Novecento dal duca Tommaso Gallarati Scotti. Tra le caratteristiche architettoniche si segnalano l’impianto quadrato di modesta estensione e il pronunciato sviluppo in altezza che definiscono un rapporto piuttosto insolito tra dimensioni orizzontali e verticali nell’ambito dell’edilizia fortificata lombarda. Se tale peculiarità rimanda allo scopo di controllo e difesa del territorio, la presenza di una vasta “corte rustica”, costituita da spazi di lavoro e cellule residenziali, fronteggiante il maniero ne conferma ed esalta la funzione di centro agricolo. Gli edifici della corte delineano un piazzale interno al quale si accede attraverso un torrione d’ingresso (già munito di ponte levatoio), segno di un legame indissolubile tra luogo fortificato e insediamento rurale. Il feudo, così articolato, è tutto delimitato dal fossato per cingere «l’orto, il giardino e le abitazioni adiacenti», associando il ruolo di fortezza al controllo del territorio coltivo, proteggendo il lavoro dei coloni all’interno dello spazio edificato e quasi traducendo in sistema spaziale l’ordine dei rapporti feudali. L’edificio presenta un’apparecchiatura laterizia con corsi ornamentali di mattoni che inquadrano aperture differenti, modificate nel tempo a seguito di interventi successivi; è dominato dalla presenza di una torre ad angolo più alta rispetto ai corpi edilizi adiacenti, fasciata da una triplice decorazione dentellata in cotto. La forte vocazione agricola del luogo sembra aver instaurato un rapporto di tipo simpatetico tra le terre, le figure che le popolano, gli edifici che le connotano e la loro stessa ornamentazione: l’accesso al complesso di Cozzo avviene attraverso quello che resta dell’antico ricetto, delimitato dalla cortina edilizia della corte rustica, mentre l’ingresso al castello avviene attraverso un androne che introduce al cortile ricco di inserti di opere d’arte, affreschi e graffiti, con motivi ornamentali raffiguranti il meandro mistilineo intrecciato e il tralcio di vite fruttifero, emblema dei Gallarati Scotti, a volte sinuoso e appeso a treillages, a volte deposto in vasi ornamentali. Un rapporto che solo una visione dall’alto permette di cogliere nella sua pienezza: dalla sommità della torre castellana è possibile dominare con lo sguardo il paesaggio vicino e guardare, ad esempio, verso la Cassinetta, “avamposto” di lavoro dei Gallarati Scotti tra i campi di risaie. Mentre le foto aeree rivelano il paesaggio lontano e il sistema ineguagliabile di questa «ubertosa e serena pianura», mostrando le cascine che costellano il territorio, i corsi d’acqua, le strade e le ripartizioni geometriche dei campi: in altre parole mostrando il paesaggio reso fertile dall’operosità dell’uomo, quello stesso che Carlo Cattaneo, in Notizie naturali e civili su la Lombardia (1844), aveva definito una sorta di «patria artificiale», «tutta smossa e quasi rifatta dalle nostre mani»: primaria risorsa economica, ma anche mirabile testimonianza di civiltà e del lavoro profuso nei secoli dai diversi abitanti, per il loro e per il nostro futuro